LA LEGGENDA DI ECO E NARCISO

Tanto, ma tanto tempo fa, nei boschi, nelle campagne e lungo i corsi d’acqua vivevano bellissime fanciulle, chiamate Ninfe, agilissime e vestite di preziosi veli.
Ogni mattina si pettinavano, specchiandosi nei laghetti e nei ruscelli, mentre il pomeriggio, danzavano e giocavano fra loro, all’ombra delle piante. E il loro canto era celestiale!
Nei boschi, però, vivevano anche i Satiri, fannulloni che amavano il divertimento ed erano sempre alla ricerca di qualche Ninfa da inseguire. Anche Pan, il dio dei pastori e delle greggi, assomigliava a un satiro e, proprio come loro, era brutto e deforme: al posto dei piedi, aveva due grossi zoccoli di caprone, il viso era pieno di rughe e con una barbetta sul mento, le orecchie erano appuntite e, sulla fronte, troneggiavano due corna di capra!
Il suo passatempo preferito era cantare e suonare un flauto, fatto di canne, e così, trascorreva le sue giornate.
Un giorno, mentre vagava, come sempre, per i boschi, udì qualcosa che attirò la sua attenzione. “Chi canta con voce tanto melodiosa?” disse tra sé.
Un dolcissimo canto proveniva da dietro un cespuglio, un canto al quale non era possibile resistere. Così, scostò qualche ramo e provò a sbirciare: una Ninfa bellissima era intenta a cogliere fiori! Il suo nome era Eco e il suo dolce canto addolciva il cuore, più del cinguettio di mille usignoli.
Pan, attratto dal canto ma, soprattutto, dalla bellezza della fanciulla, le si avvicinò furtivo e, giunto alle sue spalle, le disse: “La tua voce è celestiale, fanciulla bellissima! Tu sarai la mia sposa!”.
Colta di sorpresa, Eco si voltò e, alla vista di Pan, con quella barbetta e quelle due corna, pensò fosse un satiro qualsiasi e…via: si mise a correre più veloce del vento, tra i sentieri del bosco!
“Ti prego, lasciami stare!” urlava, ansimando per la corsa. “Mi fai paura, vattene!”. “Lascia almeno che io possa ammirare la tua bellezza, non ti farò del male!” la incalzava Pan.
“Non posso: io amo Narciso, il mio cuore è suo!” ripeteva Eco, correndo sempre più veloce. Evitava alberi e cespugli, rami che la graffiavano, sassi che la facevano inciampare. Corse, finché non fu sicura di non essere più inseguita.
Sfinita e spaventata, Eco entrò in una caverna per riposarsi: il pericolo era scampato, ma che paura aveva avuto! Adesso, però, come poteva uscire di lì, senza incontrare, nuovamente, quello spaventoso essere?
Così, si mise a chiamare Narciso, il giovane bellissimo cacciatore, figlio di Cefiso, dio delle acque e della Ninfa Liriope, di cui era innamorata, sperando che accorresse ad aiutarla e a consolarla. “Narciso, amore mio! Dove sei? Aiutami, ti prego, non lasciarmi qui sola! Narciso! Narciso!” invocava con la sua voce soave.
Nessuno rispondeva. Così, Eco chiamava ancora, chiamava e chiamava…ma Narciso non arrivava.
Passò tutto il giorno poi, un altro, e un altro ancora e il suo canto divenne sempre più disperato e, ahimé…inutile.
Quel giorno, Narciso era a caccia. Era un giovane bellissimo, ma il suo cuore era arido e disprezzava l’amore. Era così superbo e pieno di sé, da non avere attenzioni per nessuno: sapeva che Eco era innamorata di lui, ma non gli interessava.
Così, mentre cacciava, si trovò a passare vicino alla caverna e udì le urla della povera Ninfa. “Qualcuno chiama il mio nome!” pensò subito, con sorpresa…ma, poi, capì che era Eco e, nonostante tutta la disperazione che avvertiva in quella voce, decise di non badarvi. “Devo continuare la mia caccia: non posso perdere tempo! E, poi, per una Ninfa!…Non ne vale proprio la pena!” disse tra sé. Occuparsi di una Ninfa sperduta non era un’impresa all’altezza di Narciso…
Gli dei, però, dall’alto dell’Olimpo, videro tutto e decisero che una crudeltà simile non potesse restare impunita: così, ordinarono che Narciso, nel suo cuore di pietra, potesse provare sentimenti soltanto per se stesso e per la sua bellezza, ma a un punto tale da perdere la ragione.
Qualche giorno dopo, faceva molto caldo e a Narciso, stanco per la caccia, venne una gran sete. Trovato uno stagno dall’acqua limpida, si sporse per dissetarsi e lì, con il viso sul pelo dell’acqua, improvvisamente vide la sua immagine riflessa: “Che volto bellissimo!” mormorò sbalordito. “La sua bellezza è divina! Non posso più vivere senza che risplenda continuamente ai miei occhi!”. E si innamorò all’istante…di se stesso!
In quel momento capì che niente al mondo aveva importanza per lui e rimase lì, immobile, senza staccare gli occhi dal proprio volto riflesso, come in preda ad un incantesimo.
Il sole cominciava a calare, ma Narciso non riusciva più a muoversi: le forze cominciarono a mancargli, il suo viso divenne sempre più pallido e, come pietrificato, si lasciò morire lentamente.
Quando, il mattino dopo, le Ninfe giunsero allo stagno per lavarsi, come ogni giorno, Narciso non c’era più e, al posto del giovane e superbo cacciatore, spuntava tra l’erba soltanto un fiore bianco e giallo, al quale fu dato il suo nome, narciso.
Intanto, Eco, disperata per il dolore dell’amore non ricambiato, continuò a invocare il suo innamorato e si consumò a poco a poco: rannicchiata nella caverna in cui aveva trovato riparo, cominciò a dimagrire, e dimagrire…finché di lei restò solamente la voce, una voce che, da allora, continua a risuonare nella montagna e risponde ai viandanti, ripetendo l’ultima sillaba delle loro parole