FABIO ED EMANUELE, DUE VITE SPEZZATE DALL’INDIFFERENZA

Forse, l’accostamento è improprio: circostanze, modalità e tempi assolutamente diversi, accomunati, però, dal sottile, impietoso e tragico filo della morte a sottendere le vite di due giovani, spezzate quando dovevano ancora fiorire, sotto il cielo cupo dell’indifferenza.

Fabio Vitaliano a Sora ed Emanuele Morganti ad Alatri sono morti, scuotendo – ma chissà per quanto tempo – la coscienza di tanti. Il primo ha messo fine ai suoi giorni impiccandosi nel vano scale della sua casa, dopo aver tanto e vanamente cercato un lavoro, uno scopo nella vita, un motivo per cui alzarsi la mattina e coricarsi stanco la sera pensando alle fatiche di domani. Nulla di tutto questo ha avuto e tanto gli è bastato per determinare l’insano gesto. Ed ancora echeggiano la parole del padre, disperato: “E’ colpa del sistema”. Il lavoro che non c’è, i soldi che mancano, la sensazione di essere inutili, porte rimaste chiuse nonostante il tanto bussare, curriculum inviati e nessuna risposta, pacche ricevute sulle spalle, ma nulla più. Solo il baratro. Nella noncuranza e forse anche nell’impotenza di chi – persone e Istituzioni – qualcosa avrebbe potuto fare e non ha fatto. Sicchè, non sarebbe errato affermare che Fabio è morto per l’indifferenza che ha trovato intorno a sè.

Proprio come Emanuele, che, invece, un lavoretto, a soli 20 anni, ce lo aveva già. Era sorridente Emanuele, aveva una ragazza e, venerdì sera, era uscito solo per divertirsi un po’. Le circostanze in cui la sua morte è maturata devono essere ancora ben definite, ma quello che è emerso da subito è che Emanuele è stato pestato a morte nell’indifferenza generale, senza che nessuno sia intervenuto ad aiutarlo: mentre lo picchiavano una prima volta e lui riusciva a divincolarsi; mentre tornavano alla carica una seconda volta e lo prendevano a sprangate, il sangue sgorgava e il cranio gli si fracassava, nessuno interveniva. Ed Emanuele moriva, anche lui, nell’indifferenza di chi si trovava a passare da quelle parti.

I riflettori si sono accesi sì, ma quando ormai era troppo tardi. Commenti e indignazione dilagano, ma per quanto tempo resterà alta l’attenzione? Perché qui non si tratta solo della irrinunciabile prerogativa di assicurare i colpevoli alla giustizia e di rendere le Istituzioni più efficaci, ma di affrontare un compito forse anche più difficile: ricostruire un tessuto sociale che è andato perduto, restituire all’educazione e al rispetto della persona il ruolo centrale e insostituibile che meritano.

Storie diverse, ma uguali, quelle di Fabio ed Emanuele, in una società che corre e perde pezzi, valori, umanità. Tutti amici sui social, ma ‘stranieri’ nella vita reale. A forza di mettere faccine, ‘mi piace’ e condividere post e stati d’animo dalla fredda tastiera di un pc o del telefonino, abbiamo perso il calore di una mano che si tende, mentre qualcuno ci dice: “Ti aiuto io”.