Conversione Ecologia, cominciamo da Videocon.

C’è un futuro per la Vdc, la storica azienda di Anagni (Frosinone) che produceva schermi per televisori e climatizzatori. Fino all’altro ieri la Vdc era di una multinazionale indiana, che l’aveva ereditata dai francesi della Thomson. Poche settimane l’azienda è fallita definitivamente fa lasciando senza lavoro più di 1.300 persone. I lavoratori nei giorni scorsi hanno occupato gli stabilimenti, vogliono sapere come sono stati bruciati i 180 milioni di euro lasciati dalla precedente società per la riconversione produttiva. La nuova soluzione viene proposta dai sindacati del settore chimico: si tratta di approfondire l’idea «di realizzare un distretto di rilevanza nazionale per la produzione di componenti nel settore delle energie rinnovabili», secondo quanto annunciato da segretari generali dei principali sindacati. «Una proposta seria, che, al pari di altre, può essere utile per la conversione industriale  e la tutela dei livelli occupazionali», ha commentato Alberto Morselli di Filctem Cgil. Attualmente tutti lavoratori sono in cassa integrazione fino al 15 dicembre 2012, il regalo di Natale rischia di essere il licenziamento.

I sindacati della Vdc, si legge su Rassegna.it, hanno intanto chiesto all’Asi, il consorzio di sviluppo industriale di Frosinone, di esercitare il diritto di riappropriazione del terreno e dei fabbricati dal curatore fallimentare e di mettere a gara la concessione in comodato d’uso gratuito di parti dello stabilimento per l’insediamento di iniziative industriali, con il vincolo della riassunzione del personale ex Videocon, in accordo con istituzioni e imprese. «Rivolgiamo un appello – scrivono Filctem, Femca e Uil in un comunicato – affinchè l’imprenditoria locale e nazionale, le istituzioni tutte, a cominciare dal ministero dello Sviluppo economico, imprimano una svolta significativa a una brutta pagina di una storia industriale che dura ormai da anni, per dare finalmente un futuro certo ai lavoratori e alle loro famiglie».

Il caso Vdc è esploso nel 2007, ma i primi problemi sono cominciati nel 2000, anticipando una crisi che oggi riguarda tutto il territorio provinciale. Una recente sentenza del tribunale di Frosinone ha preso atto del rifiuto della maggioranza dei creditori della proposta di accordo sul debito avanzata dalla proprietà, vale a dire la liquidazione del 5 per cento del dovuto. In dicembre ci sarà la prima udienza per l’accertamento del passivo e per ammettere i creditori, in primis i lavoratori ma anche soggetti ingombranti come banca Intesa Sanpaolo (che vanta un credito di 60 milioni di euro). Dopo si conteranno gli attivi, che includono i crediti esigibili, gli stabilmenti (il Comune ha deliberato che l’area non avrà un cambio di destinazione d’uso e questo dovrebbe tenere lontani al momento gli speculatori) e le attrezzature. La procedura dunque non sarà breve: c’è tempo per nuovi progetti. Negli ultimi mesi è nato anche il gruppo facebook «Tutti uniti per la Vdc Technologies», con oltre 5.000 iscritti. A tenerlo attivo sono soprattutto i dipendenti della fabbrica anagnina, ma anche sostenitori di ogni età che non si rassegnano al declino dell’azienda. Tramite questo gruppo gli iscritti si scambiano novità e delusioni, ma anche informazioni, rassegne stampe e segnalano appuntamenti, come il convegno di maggio dedicato alla possibile conversione ecologica (altri articoli su questo tema sono leggibili in questo link) per la produzione di impianti che utilizzano fonti rinnovabili, o il Videocon day di metà luglio.

Di sicuro oggi in casi analoghi a quello della Vdc, alcuni tra lavoratori e sindacati valutano non solo la possibilità dell’occupazione e quella del recupero (leggi anche «Fabbriche senza padroni in Italia» e «Il fiorire della vita, il lavoro e la decrescita») ma, soprtattutto, l’opportunità della conversione ecologica. Tra i primi a ragionare sui temi della conversione, Alexander Langer non ha mai separato il tema della necessaria trasformazione della produzione industriale dal punto di vista ambientale con la sua auspicabile gestione dal basso, cioè autogovernata o quanto meno promossa sul serio con il consenso dei lavoratori. Langer «a differenza di un certo ambientalismo che bypassa completamente le questioni sociali – scrive Guido Viale, autore di «La conversione ecologica» (NdA) –, non ha mai sottaciuto che trovare una composizione tra ecologisti e operai è il problema delle società postindustriali».

Ci sono già aziende che hanno scelto la strada della conversione, pur tra limiti e contraddizioni, ma raramente questo è avvenuto durante uno stato di crisi diffusa. Eppure è da qui che occorre partire, difficile immaginare alternative. «Quando gli Stati uniti sono entrati nella seconda guerra mondiale, in pochi mesi hanno convertito l’intero loro apparato produttivo, il più potente del mondo – spiega Viale -, per far fronte alle esigenze della produzione bellica. Poi lo hanno di nuovo convertito, sempre in poco tempo, anche se solo parzialmente, per fare fronte alle aspettative della pace». Un caso interessante di conversion, ad esempio, è la Ipt (Industria Plastica Toscana) di Scarperia, provincia di Firenze: si tratta di una fabbrica recuperata negli anni Novanta dai lavoratori, i quali hanno avviato anche un processo di conversione ecologica. Producevano sacchetti e pellicole per pane, oggi si preparano a realizzare shopper biodegradabili. Negli ultimi mesi sembrava importante anche il caso di conversione, questa volta dall’alto, di un’altra azienda toscana, la Electrolux di Scandicci diventata Isi (Italia Solare Industrie). L’anno scorso aveva annunciato il passaggio dalla produzione di frigoriferi a quella di pannelli solari, per salvare circa quattrocento posti di lavoro. Il progetto aveva convinto lavoratori, sindacati, Regione Toscana, Comune, ministero del Welfare, ma la Guardia di Finanza di Firenze ha scorperto nella scorse settimane che la riconversione dello stabilimento nasconde un caso di truffa e bancarotta fraudolenta, per i quali sono state arrestate alcune persone (il tribunale fallimentare ha fissato per il 24 luglio l’asta per la vendita dell’azienda).

A proposito di conversione: vale la pena ricordare come negli ‘70 la Fiat aveva ideato un impianto mobile di microcogenerazione ad alta efficienza chiamato Totem, basato sul motore della mitica 127, che con qualche modifica gli operai erano in grado di far funzionare a gas o biogas per generare energia elettrica (sufficiente per il consumo medio di una ventina di appartamenti) e per recuperare calore (utile a scaldare tre appartamenti). Forse distratti dalla guerra contro gli operai e dagli enormi investimenti pubblici per sostenere il mercato delle automobili, fatto sta che a Torino hanno abbandonato il progetto. Lo ha ripreso un paio di anni fa la Volkswagen, che con il motore della Golf si appresta a produrre oltre 100mila impianti di quel tipo da installare in condomini, piccole aziende, uffici: servono a produrre elettricità, riscaldamento, raffreddamento, sterilizzazione. Insomma per produrre micro-cogeneratori occorrono la stessa tecnologia, gli stessi impianti e le stesse professionalità che sono necessari per produrre automobili. Il cambio di rotta, da Anagni a Torino, è per diverse ragioni urgente quanto possibile.

Di Gianluca Carmosino,

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