ANCHE I DELFINI ARROSSISCONO (di MARCO FOSCA)

di Marco Fosca

All’inizio ho sempre l’illusoria sensazione di avere tutto sotto controllo; d’altronde la prassi la conosco fin troppo bene. Ti presenti, stringi qualche mano e poi ti fanno accomodare in un ufficio ingannevolmente asettico. Ci saranno senz’altro vetri di ultima generazione che ci proteggeranno dal caldo esterno, di questo ne sono certo, per cui la stanza sarà sferzata dalle correnti freddo-secche del condizionatore e quindi avrà una temperatura interna tale da non giustificare possibili iperidrosi incontrollate. Ma non sono affatto rassicurato dal fattore ambiente condizionato.

Comunque, in caso di disagio emozionale incombente, mi resta sempre il metodo dell’identificazione soggettiva attraverso la figura del metafisico delfino rosa. Perché, a quanto pare, anche i delfini rosa arrossiscono in situazioni di disagio emozionale. Sembra siano gli unici animali oltre l’homotimidofobicus che restano nudi senza neanche la foglia di fico.

Il punto di forza della teoria del metafisico delfino rosa però è che è amato da Tutti, il punto debole, a mio avviso, è che non può dirsi lo stesso degli esseri umani.

Il perennemente ghignante delfino rosa è simpatico ai grandi e ai piccini. Nessuno (a parte il pescatore giapponese) farebbe del male al delfino rosa, quindi, ragionando in questi termini, l’obiettivo dell’esimio Dott. Gedeone Mazzaricordi, il mio analista, è quello di convincermi specularmente che nessuno si sognerebbe di ironizzare sardonicamente sui miei disagi emozionali, e vuole riuscire nell’impresa utilizzando appunto la figura del metafisico delfino rosa come soggetto identificativo.

Nell’ultima seduta però, più che parlarmi di foglie di fico e di delfini rosa abbiamo discusso di problemi relativi alla permeabilità della mia membrana.

   Dott. M.   Ecco cosa le dico io: permeabilità della membrana. Nello specifico credo che il problema derivi da un malfunzionamento di permeabilità della membrana metaforica che avvolge la sua anima.

   Io   Temo di non riuscire a seguirla.

   Dott. M.   Pensi a tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme. Ai passi da gigante che abbiamo compiuto. Ai progressi che abbiamo fatto. Possibile che non si renda conto che il disagio emozionale sia riconducibile e spiegabile in termini di teoria della permeabilità della membrana?

L’Io e l’universo esterno, ciò che è all’interno e tutto il resto che è fuori.

Facciamo un bel passo avanti. Mi risponda alla seguente domanda. Lei crede che i suoi problemi vengano dal didentro o dal difuori?

   Io   Non so che dire. Se lo sapessi molto probabilmente non sarei qui con lei a discuterne.

   Dott. M.   La prego. È importante. Tenti una risposta.

   Io   Se proprio devo, sarei tentato di rispondere dal didentro.

   Dott. M.   Lo immaginavo. È caduto nell’imboscata che le ho volutamente teso. Il problema non si trova né fuori e men che meno dentro. Il problema è che la sua maledetta membrana non fa il suo dovere. In altri termini non riesce a mantenere ciò che deve rimanere dentro e non riesce a tenere fuori ciò che deve rimanere fuori. Capisce?

Dobbiamo allenarci a tenere la membrana robusta e pulita. La membrana sufficientemente forte riesce a decidere con successo cosa assorbire dentro di sé, e lascia che il resto rimbalzi via. Una membrana forte riesce a resistere agli attacchi degli altri sistemi-esterni che si interfacciano con il nostro sistema-io. Spesso i sistemi-esterni martellano incessantemente la nostra membrana, vogliono distruggere la permeabilità della nostra membrana, e l’individuo con problemi di permeabilità della membrana soccombe all’attacco dei sistemi-esterni.

   Io   Io non l’avrei messa in questi termini però…

   Dott. M.   Però cosa?

   Io   …no, è che io in effetti tendo a “fuggire” per così dire da quelle situazioni… o meglio, utilizzando la sua analogia, tendo a fuggire appunto da quei sistemi-esterni che cercano di minare la permeabilità della mia membrana.

   Dott. M.   E cosa pensa di risolvere fuggendo. Vuole essere un fuggiasco per il resto dei suoi giorni? Perché questo sarà il risultato se lei non prende coscienza della teoria della permeabilità della membrana.

Adesso però mi trovo dentro l’ufficio della Plastikom spa e per me è di fondamentale importanze riuscire a mantenere la calma come prima cosa.

Dopo alcuni minuti ecco che si materializzano tre figure dall’altro lato della grande scrivania di cristallo che riflette spietatamente oltre la luce del sole delle 14:00 anche i loro volti opacamente spettrali.

Scatta il giro di strette di mano; rispettivamente: Capo reparto, Direttore di Produzione e Responsabile dell’ufficio Risorse Umane.

Qualche battuta sul caldo torrido esterno tanto per rompere il ghiaccio e dare l’impressione di sembrare un tipo assolutamente normale, forse a tratti perfino simpatico.

Inizia il colloquio e a prendere la parola è il Responsabile dell’ufficio Risorse Umane; un tipo magro e giallognolo. Davanti a sé ha una pila di fogli scritti al computer appena passatagli dal Capo Reparto spelacchiato seduto alla sua destra.

   R.U.R.U.   Vediamo… lei è il Dottor… , trentatre anni, ha conseguito il diploma di maturità presso l’Istituto per Chimici di… , ha frequentato l’Università di… dove si è laureato con votazione 105/110 sostenendo la tesi sul problema dell’effetto serra correlato alla dispersione dei gas fluorurati usati come refrigeranti negli impianti di condizionamento degli autoveicoli. Varie esperienze in ambito chimico-industriale…

Attualmente lavora?

Ovviamente non me la sentivo di dire in quella circostanza che il mio attuale lavoro consisteva nel travestirmi da Spiderman dentro un parco giochi.

L’idea mi era venuta durante la festa di compleanno di mio nipote. Mi trovavo a “Bobbyland”.  Ultima generazione in materia di divertimenti per bambini. Dal di fuori sembra un piccolo-medio capannone industriale con l’ingresso simile a quello di una discoteca. Ma dentro è tutta un’altra storia. Duemila metri quadrati su due piani di ogni genere di giochi per bambini da zero a cinque anni tipo scivoli di varie dimensioni, tunnel colorati, tappeti elastici, finte pareti rocciose dove arrampicarsi, schermi giganti sparsi qua e la che proiettano a ciclo continuo animazioni in 3d, party room tematiche per le feste di compleanno e persino un angolo bar per genitori frequentato prevalentemente da branchi di mamme annoiate che fanno la spola tra la zona fumo e il bancone del bar.

La prima cosa che mi aveva colpito mentre davo un’occhiata disinvolta alle brochure disseminate in maniera casuale sul bancone della reception era che “Bobbyland” poteva anche essere sfruttato come “Baby Parking” a ore. C’era anche il relativo tariffario che ti faceva uno sconto direttamente proporzionale con l’aumentare delle ore acquistate.

La cosa umiliante e svilente della faccenda “Bobbyland” non è indossare una tuta di Spiderman e fare lo scemo invasato dalle 14:30 alle 16:30 e poi 18:30 alle 20:30 dal lunedì al sabato per trenta euro al giorno in nero eseguendo improvvise apparizioni e sparando con delle bombolette nascoste sotto le maniche comprate al centro commerciale finta ragnatela sintetica potenzialmente tossica e dagli effetti potenzialmente urticanti; la parte umiliante e svilente di questa che mi rendo conto essere una soluzione lavorativa appartenente al campo poco razionale dell’insieme infinito delle soluzioni disperate… matematicamente parlando si intende… insomma… è interfacciarmi con il direttore del parco giochi che ha almeno dieci anni meno di me ad essere umiliante e svilente! Prendere ordini da uno di questi nuovi sottoprodotti generazionali alti più di uno e ottanta con la schiena rotonda e certi denti da farti venire il voltastomaco è umiliante e svilente. Non a caso è un fedele consumatore di piadina zuccherata multistrato, anzi, corrono voci che sia stato proprio lui a proporla nel reparto schifezze zuccherate a “Bobbyland”.

Ad ogni modo un vero stronzo che non manca mai l’occasione di farmi battute non necessariamente sarcastiche sulla mia età.

Indossando i panni di Spiderman ho scoperto che più del 30% dei bambini che frequentano “Bobbyland” sono clinicamente obesi, mentre il restante 70% è equamente suddiviso tra bambini comunque sovrappeso e bambini che potremmo definire normali sempre parlando in termini di peso corporeo. L’eccitazione maniacale elevata all’ennesima potenza dei ragazzini intenti a giocare con le varie attrazioni presenti all’interno del parco – più resistente ai richiami infuriati delle mamme!, più forte della spossatezza dovuta ai sali minerali persi con la sudorazione! – si interrompe infatti solamente quando si ammassano in riga variabile da due a cinque per comporre la lenta e caotica fila sudata per accedere al reparto dolci schifezze dove c’è appunto la piadina zuccherata multistrato. Ho notato che il 90% dei bambini appartenenti alla categoria dei clinicamente obesi opta sempre per la piadina zuccherata multistrato.

Ma in questo momento le piadine zuccherate multistrato non c’entrano.

Mi trovo nelle viscere cristalline della Plastikom spa e puntualmente il disagio emozionale inizia inesorabilmente a comparire sulla mia pelle proprio mentre sto parlando della mia ultima esperienza lavorativa in ambito industriale.

Il disagio è così evidente che il Direttore di Produzione mi chiede se mi sento bene.

Dico che è la tensione accumulata per il colloquio. Dico che per me questa rappresenta una grande occasione lavorativa. Dico che questo lavoro significherebbe tanto per me. Dico che probabilmente è perché sono fortemente motivato ad ottenere il posto. Sarebbe superfluo in quelle circostanze dire che ho un carattere emotivo, infatti non lo dico. Il Capo Reparto mi guarda fisso, con uno sguardo mite ma devastante. Io faccio la prima cosa che mi viene in mente: canalizzo lo sguardo sul cappuccio della penna stilografica posta sulla scrivania di cristallo cercando di far defluire la tensione dal mio corpo alla penna. Provo anche a rilassare i muscoli facciali. Il silenzio comincia a pesare come un macigno sull’atmosfera della stanza. Mentre sposto l’attenzione sui minuscoli granelli di polvere che transitano attraverso i coni fotonici fuggiti dalle fessure orizzontali delle finestre, il Capo Reparto e il Responsabile dell’Ufficio Risorse Umane avvicinano le loro teste in un discreto consulto che ha tutta l’aria di essere un verdetto di morte.

Il Capo Reparto si assume la responsabilità di prendere la parola. Comincia col dire che occorre discutere con franchezza dei potenziali problemi del mio carattere fortemente emotivo in un contesto di produzione spietato dove non c’è spazio per l’emotività. Il Responsabile dell’Ufficio Risorse Umane abbassa lo sguardo sul foglio immediatamente successivo al mio curriculum.

Questa volta non ho neanche raggiunto la fase del classico “Le faremo sapere”. Pazienza.

Mi consolo pensando che non sono solo: anche i delfini arrossiscono!